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lunedì 22 giugno 2015

"Siena brucia" e il bracciante lucano

Ovvia, visto che lo hanno fatto un po' tutti, anche io mi adeguerò all'esercizio di stile di moda in questi giorni in città: commentare il libro dell'Allegranti.



Debbo dire che lo faccio sia perchè mi si cita, seppure in maniera indiretta, un paio di volte, sia perchè si parlicchia, fra il sudiciume che ha inondato Siena in questi anni, en passant anche di football, sebbene in maniera succinta e poco evidenziata.
Ed in effetti il capitolo AC Siena si chiude rapidamente, secondo lo schema subliminale già altrove evidenziato in questi anni e qui riproposto (non solo in ambito football), al motto di: "Era inevitabile"!
Non voglio scendere molto nei particolari del libro, che nulla aggiungono a ciò che, nel corso del tempo, i miei illustri colleghi bloggersssss hanno spiattellato agli occhi di tutti, anticipando di anni ed anni il lavoro del giornalista fiorentino. Arrivato, perciò, in colpevolissimo ritardo a narrarci (o ricordarci?) vicende conosciute - per chi le avesse volute conoscere, ovviamente.
Il reale valore del libro, probabilmente, risiede quindi davvero nell'aver portato "oltre frontiera" una interpretazione di ciò che è successo a Siena da dieci anni a questa parte, in modo tale da far leggere al pastore abruzzese, al bracciante lucano o alla casalinga di Treviso (cit.) le gesta di nostri famosi concittadini.
Ecco, mi domando... Cosa leggono in queste pagine il bracciante/il pastore/ la casalinga, nella tranquillità delle loro mura domestiche?
Allegranti stesso ci parla delle sue intenzioni, a tal proposito, premettendo, quasi a voler mettere davanti le mani: "Volevo raccontare una storia, non la storia".
A mio avviso, invece, questo libro non racconta storia, nè "una", nè "la". Racconta piuttosto cronaca (cosa assai diversa). Anzi, racconta una rappresentazione della cronaca.
Eh sì, perché a mio avviso Guerranti ripropone un modello di stereotipizzazione delle critiche, propria di chi non conosce, ovvero non vuole o non può scrivere di certi fatti accaduti.
L'autore ci dimostra in maniera ossessiva quanto sia drammatica, grottesca e devastante ciò che chiameremmo - per restare anche all'interno di certe tematiche care a questo blog - la Folosità del senese medio. Mettendola anche, giustamente, alla berlina. Ma, dicevamo, non solo è arrivato assolutamente fuori tempo massimo, ma ha anche riportato un'immagine non storicizzata, un modello che una certa Siena ha già sgamato. Da anni. E che un'altra Siena tenta di perpetuare. E che un'altra Siena ancora nega che sia mai esistito.
Manca, al contrario, la parte per me più importante delle Storie (con la S maiuscola): far capire il perché dell'accadimento dei fatti, le ragioni dei cambiamenti, le cause delle disgrazie.
Non esiste una traccia, un indizio - per il pastore abruzzese, il bracciante lucano, la casalinga di Treviso - atto a far unire i puntini e risolvere il problema.
Anzi, il libro ci bombarda di eventi che si rincorrono, si accavallano in una furiosa sequenza, simile alle orde di dannati di dantesca memoria. Rischiano allora di essere uguali, alla memoria del lettore, la morte di un impiegato, l'incendio di un archivio, le denuncie dei blogger. Tutto uguale, tutto un troiaio, tutti colpevoli, tutto giusto che sia andata così.
Quasi per arrivare in fondo e dire: "Era inevitabile" (vedi AC Siena).
No! Non era inevitabile! Le colpe, personali e di sistema, esistono. Ed Allegranti non lo dice.
Anzi, afferma: "Il modo migliore per raccontare Siena è non essere di Siena". Sbagliato, correggerei con: "Il modo migliore per raccontare questa Siena è non essere di Siena".
Ed al contrario, per capire cosa veramente sia successo e cosa sta succedendo, consiglierei vivamente al pastore abruzzese, al bracciante lucano ed alla casalinga di Treviso, ad esempio, di leggere i blogger senesi.



"I bloggers senesi... hanno una certa considerazione di sè"
(D. Allegranti, "Siena brucia", pag. 144)

"Certo, io sì"
(Al-Mutanabbi)

3 commenti:

  1. Non ho ancora letto il libro di Allegranti ma tendo a fidarmi di questa opinione. Concordo pure col fatto che vengano raccontate cronache già conosciute (da chi le ha volute conoscere) però la pubblicazione di questo libro potrebbe farle conoscere anche a coloro che non seguono i blog, anzi blogs. Magari potrebbe risvegliare un senso critico assopito in due o tre persone di Siena, non credo che si vada molto oltre confine. Definiamolo il confine: le mura cittadine? o il cartello sull'Autopalio che dice che si esce dalla provincia di Siena e si entra in quella di Firenze? I paesi Schenghen? Andorra? Voglio dire a chi interessa quello che succede a Siena? Vedi come sono andate le elezioni regionali e poi dimmi se in Toscana qualcuno ha interesse a sistemare le cose qui. Al Parlamento nazionale si parla di Siena quando hanno da tirare fuori i soldi per salvare questa banca, il "babbone" come la chiamiamo noi ma i padri abbandonano: Padre padre...perchè mi hai abbandonato? Lo disse uno su una croce ma poi quella storia finisce che bene o male il padre lo salva come nei migliori film hollywoodiani. Qui non siamo su un set di un film, questa è la realtà e se non ci si sveglia da questo onirico delirio collettivo va a finire che il Santa Maria della Scala diventerà un McDonald, anzi perché non utilizzare le stanze vuote del museo per accogliere gli immigranti? Almeno se ne farebbe un uso socialmente utile. Ah già...qui gli immigranti non ce li vogliamo sennò arrivano giornalisti e televisioni a ficcare il naso. Se guardate le televisioni regionali Siena non appare mai, ogni tanto per dare aggiornamenti sui processi Mps, ma ogni tanto. In conclusione leggerò questo libro per consigliarlo a 4 o 5 conoscenti non di Siena, tanto per uscire dai confini

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    1. Ok, specifico.
      Premesso che non deve esistere una regola (e che il confine si può spostare, a seconda delle singole interpretazioni della realtà), intendo come "frontiera" il mondo senese, fuori e dentro le mura (più dentro che fuori, in verità).
      Non so se sia "conveniente" tuttavia uno sdoganamento dell'interpretazione alla maniera dell'Allegranti "all'estero", anzi.
      Prova ne sia due commenti che ho raccolto personalmente da due amici che stanno a Milano e che di Siena finora conoscevano solo gli stereotipi bellini (il Palio, il Monte, l'opulenza, la bellezza, ecc ecc): "Madonna che schifo, non credevo... Ma veramente SIETE COSÌ?".
      Ove quel SIETE riguarda anche gente come me che, solo per questioni di allontanamento territoriale, poco hanno a che fare con il disastro perpetrato... O di altri che contro il cosiddetto sistema hanno lottato, pagandone care conseguenze.
      Sull'altro ragionamento che fai - parlare il meno possibile di Siena - sono totalmente d'accordo. Mi pare un'evidenza dei fatti. A Siena a mio avviso è successo qualcosa che doveva servire da lezione/modello per altro; e ciò doveva avvenire in sordina, senza tanto clamore.
      Viene quasi da pensare che ci fosse un piano ordito allo scopo... Ma diventeremmo complottisti e, quindi, di colpo, non più credibili.

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  2. Andorra e la Carinzia servono, sì, ma a spiegare quello che ancora (dopo tanto far-nulla ed a fronte di tutta quest'impunità) deve succedere: lì è già stato sperimentato il bail-in; è non è indolore.

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