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giovedì 12 luglio 2018

Noi "rosso-bruni", sporchi brutti e cattivi

Carlo Galli, politologo, politico e professore universitario di area PD (coraggio), ha scritto un gran bell'articolo su noi "rosso-bruni", come sono appellati i comunistacci/fascistacci di visione vetero marxista dai liberal left. L'ho un po' riarrangiato nella neolingua wiatuttiana, spero sia comprensibile. Oh, ripeto... è di area PD (coraggio), non è un fascistello come me, per cui leggetelo tranquillamente, anche voi moderati.

PRIMA DELLA CADUTA DEL MURO DI BERLINO
Quando ero un ragazzetto, prima del crollo del Muro di Berlino, mi ricordo che esisteva una sinistra che, nonostante la sua critica dello Stato come organo politico dei ceti dominanti e nonostante il suo internazionalismo idealista, aveva deciso di sviluppare la propria azione all’interno dello Stato, cercando di prendere il potere e di esercitarlo a quel livello. Lo Stato cioè era considerato come una struttura politica democratizzabile, mentre le strutture sovranazionali mancavano di legittimazione popolare. Da qui una marcata ostilità verso la Nato (w), ma anche verso tutto ciò che rimandava ad una comunità europea e la difesa delle sovranità nazionali che si opponevano alle ingerenze dei Paesi capitalisti. L’internazionalismo della sinistra rimase al livello di generica approvazione dell’esistenza dell’Onu, di una teorica solidarietà per le lotte dei popoli oppressi e di una cauta collaborazione con i partiti comunisti fratelli.

DOPO LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO
E mentre io scoprivo i piaceri del sesso (in tardissima età, chiaramente), la sinistra aderì entusiasticamente al nuovo credo globale neoliberista, individualistico e post-ideologico, accoppiata alla critica dello Stato (soprattutto dello Stato sociale) e della sovranità. L’idea dominante era che la sinistra della lotta di classe non era più ipotizzabile perché le classi non esistevano più e perché vi era ormai una stretta comunanza d’interessi fra imprenditori e lavoratori. La giustizia sociale era un obiettivo raggiungibile solo se si fosse lasciato svolgere al mercato la propria funzione di generare la crescita complessiva della società, la politica era solo un accompagnamento di processi di sviluppo in realtà autonomi, gli inconvenienti del mercato si dovevano correggere nel mercato stesso. Non a caso, sono state le sinistre a introdurre il neoliberismo in Europa: Blair, Delors, Mitterand, Schroeder, Andreatta, D’Alema, Bersani. La sinistra storica divenne così un partito radicale di massa, schiacciato sulle logiche dell’establishment e sulla sua gestione, impegnato - senza esagerare - sui diritti umani e civili visti come sostitutivi dei diritti sociali. Una sinistra dei ceti abbienti e cosmopoliti, incapace di interrogare radicalmente i modelli economici vigenti, le strutture produttive e le loro contraddizioni.

DOPO LA GRANDE CRISI DEL 2008
La critica alle storture, alle disuguaglianze, alla subalternità del lavoro, che invece si manifestarono nelle società occidentali soprattutto a partire dalla grande crisi del 2008, e alla logica deflattiva dell’euro ordoliberista fu lasciata alle sinistre radicali (Corbin, Mélenchon e, negli USA, Sanders), generose ma anche confusionarie e - per ora - minoritarie, ed ai movimenti "populisti" e sovranisti spesso di destra, che oggi intercettano il bisogno di protezione e di sicurezza di gran parte dei cittadini. Che sono preoccupati per la propria precarietà economica, per il declassamento sociale e per i migranti, visti come problema di ordine pubblico ma anche come competitori per le scarsissime risorse che lo Stato destina all’assistenza e al welfare. Le destre politiche approfittano, come sempre, dei disastri provocati dalle destre economiche (e dalle sinistre che hanno dimenticato se stesse). Mentre la sinistra deride e insulta gli avversari politici, grida al fascismo fuori tempo e fuori luogo (banalizzando una tragedia storica) e di fatto nega i problemi reali rispondendo alle ansie dei cittadini con prediche moralistiche e con la proposta di dare a Balotelli la maglia di capitano della Nazionale come segno anti-razzista, la destra politica ed i "populisti" quei problemi li riconoscono e ne discutono. Di contro, le sinistre fanno sterile e superficiale pedagogia mainstream ed ora scoprono con stupore di essere confinate nei quartieri alti, mentre nelle periferie degradate il proletariato ed i ceti medi impoveriti - che ancora esistono, nonostante le analisi di sociologi non troppo perspicaci - votano altrove.

IL RUOLO DEI "ROSSO-BRUNI"
In questo contesto, i sovranisti di sinistra (i cosiddetti "rosso-bruni") cercano di recuperare il tempo e lo spazio perduti dalle sinistre liberal e globaliste con il preciso obiettivo di sottrarre la protesta sociale alle destre e tornano così all'attenzione verso lo Stato, nella consapevolezza che senza tale pensiero - che prevede un concetto democratico, presente nella nostra Costituzione, che di per sé non implica per nulla xenofobia e autoritarismo - non ci si può aspettare alcuna soluzione dei nostri problemi, che non verrà certo da quegli enti sovranazionali che spesso li hanno creati. Ovviamente è una strategia rischiosa, non garantita, forse anti-storica, sebbene lo Stato, in ogni caso, sia ancora il protagonista della politica mondiale; e, altrettanto ovviamente, con ciò le sinistre sovraniste sposano, entro certi limiti, gli argomenti della destra e ne condividono i nemici (la sinistra moderata mondialista ed europeista ed il capitale globale). Ma se la sinistra sovranista riuscirà a fare il proprio mestiere, allora si distaccherà chiaramente dalla destra politica, innescando una dialettica basata su un confronto reale su temi concreti. La destra cioè va sfidata non sui migranti, ma sulle politiche del lavoro; non sui vitalizi, ma sulla critica della forma attuale del capitalismo; non sull’euro, ma sulla capacità del Paese di non essere l’ultima ruota del traballante carro europeo; non sul nazionalismo, ma su un’idea non gerarchica di Europa.

Il tutto - concludo - ad una condizione: spazzare via la fuffa parassitaria della finta sinistra, tentando di farla diventare ciò che in Itaglia non abbiamo mai avuto, ovvero un partito socialdemocratico almeno minimamente produttivo, in contrapposizione ed in contatto con una sinistra di classe. Impossibile? Boh, vedremo...

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