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mercoledì 28 febbraio 2018

Un bianco carnevale

Cade la neve e ogni cosa si placa. Sembra Natale, ma non lo è. Dai comignoli sui tetti esce un fumo dello stesso del cielo. Bianco sopra, bianco sotto. E noi, minime macchie di colore disperse nel candido grigiore, qua in mezzo in attesa.

Nelle case, la gente scosta le tende per guardare fuori, nonostante il calore del respiro appanni i vetri, offuscando la vista. Per strada il lento scorrere del traffico diminuisce con l’avanzare della sera, prima di interrompersi di colpo, all’improvviso e senza un vero e proprio motivo. Due solchi paralleli disegnano nel parcheggio un’impalpabile traiettoria. Il silenzio avvolge tutto in pochi minuti, consumando i rumori e mortificando la voce. Anche la suoneria di un cellulare appare fuori luogo in questo pezzo di mondo catapultato fuori dal tempo. 
Un tale vestito di scuro accarezza la guancia di una ragazza, prima di stringerla a sé  in un abbraccio che sa di lontananza e tempo trascorso nell’attesa di un ritorno. Immersi nei fiocchi candidi, sembrano due malinconici souvenir intrappolati dentro una sfera di vetro. Sono soli, ma hanno tutto ciò che gli serve per essere felici. Nell’osservarli, grande è il timore che un colpo di vento possa infrangere la bolla e condannarli ad una vita priva dell’uno per l’altra. Chissà, forse si sono persi tanto tempo addietro in un bel giorno di sole e adesso si stanno ritrovando sotto la neve. Nella loro storia ciclica, fatti di addii, abbracci, partenze e arrivi, forse stanno soltanto chiudendo il cerchio. Guardandosi negli occhi, comunicano senza parlare. Niente lacrime amare o sorrisi sognanti. Le loro pupille si dilatano fino ad occupare tutto l’iride, mentre tutt’intorno turbina un vortice di coriandoli bianchi, leggeri e ghiacciati. 
Sembra Carnevale, ma non lo è. Cade la neve e spariscono i riferimenti. Il mondo piega su stesso, cambiando le forma delle cose. Il senso dell’orientamento vacilla. Come posso trovare la mia strada, in mondo tutto uguale? Come per magia, spariscono anche i profumi. Tutto adesso sa di buono e di pulito, come le lenzuola appena lavate. Che fatica sarebbe vivere in posto senza rumori e senza suoni, dove ogni angolo è uguale al precedente? La neve lava ed il ghiaccio sterilizza. Anche le emozioni.
Nel bianco carnevale di una domenica di febbraio, da qualche parte, laggiù oltre quelle nuvole, il rumore riesce a bucare il silenzio. All’inizio arriva incerto e poco definito: come il segnale del satellite durante un temporale. Sembra un brusio, tipo uno sciame di calabroni lanciati all’attacco di un intruso. Tendendo l’orecchio, tuttavia, sembra che il rumore aumenti di intensità: uno stormo di uccelli nel cielo di agosto o cavalli al galoppo sul bagno asciuga di una spiaggia. La neve sferza l’aria con sadica violenza. Adesso il mondo appare sotto sottosopra e non si riesce a capire dove stia il sotto. La gente cammina capovolta, appoggiando i piedi sulle nuvole. Ancora un rumore a bucare il silenzio. Voci, maledizione! Ecco cosa sono. Centinaia di voci, che fregandosene del freddo e del suo ghiaccio, bucano le coltri e puntano orgogliose verso l’alto. Tutto tace tranne quelle voci. Eppure non sembra una conversazione. Non ci sono domande scomode, né risposte scontate. Tutti sembrano ripetere la medesima frase. Forse in quel piccolo brandello di mondo dimenticato da Dio stanno impazzendo, mentre ricoperti da una sottile lamina di neve bianca venerano i loro dei pagani. Eppure, ad ascoltare bene, non sembrano lamenti di un malato, né tanto meno arcaici riti tribali. Cori, cori! Laggiù stanno cantando! 
Nonostante il gelo, l’inverno che non ammette repliche e la voglia di rimanere chiusi in casa, protetti dal pigiamone di lana e armati di cioccolata calda, laggiù un manipolo di pazzi sta cantando. Canta una musica bella e profonda, di un sogno che domenica dopo domenica diventa più grande. Canta le gesta di ragazzi normali che cadono, inciampano e provano a rialzarsi. Canta la disperazione di una città che dopo anni di ingiustizie e angherie prova far capolino dalle parti del purgatorio, dopo aver capito che all’inferno è bene ci vadano coloro che l’hanno condannata allo scuro periodo, dal quale adesso sta tentando faticosamente di uscire. Cantano; ed in questo bianco carnevale è la cosa più bella del mondo. Da qualche minuto non sentono più il peso di un fine settimana che sta per finire. Di colpo hanno abbandonato gli ombrelli, liberandosi anche del freddo annodato intorno agli arti, che segava le ossa e stringeva le viscere. La neve adesso pare posarsi sulle lancette dell’orologio, che sembrano girare più lentamente. Un secondo dopo l’altro, persi dentro uno stillicidio di minuti, il coro aumenta d’intensità. Nel silenzio generale di un mondo che trattiene il fiato, troppo impegnato ad osservare la neve cadere, quei pazzi laggiù sono l’unico segnale di vita. Il coro si libra alto nell’aria: forse è l’inizio di un qualcosa di più grande, oppure è soltanto la storia di una sera, ma non sta a loro deciderlo. Loro possono soltanto fare ciò che gli riesce meglio, unirsi e levarsi altissime nel cielo, per informare che il Siena ha segnato, il Siena sta vincendo, il Siena è primo in classifica. E nitide e argentine sembrano fregarsene delle partite in meno, dei recuperi, dei turni di recupero. Oggi va così e per nessuna ragione al mondo cambieranno idea. Oggi va così, ma potrebbe andare così anche domani e dopo domani. 
L’arbitro fischia la fine e i ragazzi corrono sotto la curva. Le voci si abbracciano, si uniscono, acquistano potenza e salgono ancora più in alto, per raggiungere quell’ambito osservatorio privilegiato della prima posizione. Adesso urlano e non si fermano più. Fremono per giocare ancora. L’adrenalina le spinge verso nuove conquiste, mentre l’attesa le consuma. Cantano e il loro calore scioglie la neve e spinge in porta i palloni. Cantano, perchè una domenica così è meglio di un venerdì.

Siena - Olbia 1-0: non potendo farci squalificare il campo (... è vero che non si può?) e non potendo nemmeno replicare tutte le domeniche nevicate simili, non ci rimane che scegliere la terza variabile e cominciare a giocare in casa sempre con la maglia nera. Sì lo so, anche io sono innamorato del nero col bianco (zebrato, inquartato, a pallini, non importa) ma sono anche tanto tanto superstizioso. Al punto che una volta, mentre il Siena giocava con l’Olbia, sotto una nevicata della Madonna... No vabbè mi fermo qui, anche perché il nostro cammino, pur essendo già storia, non è ancora leggenda. Per questo ci sono ancora battaglie da vincere e nemici da affrontare. Avanti Robur. Nonostante la neve, hai davanti il tuo cammino.

Tutti insieme uniti avanzeremo - torniamo a riempire il Rastrello!


Mirko

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