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venerdì 28 aprile 2017

Lo sbarco

Piove, non piove, ma quando piove? Sono mesi che non cade una goccia. "Di questo passo se non piove secca tutto", dice un tizio appoggiato al bancone di un bar. "Sì, ma se piove fa i danni", risponde il barista stringendosi nelle spalle, sicuro delle proprie certezze.
L’avventore controlla l’ora sul display del cellulare e bofonchia qualcosa di incomprensibile, prima di andarsene senza salutare.


Il giornale aperto alla pagina dello sport locale ricorda che domenica prossima la Robur cercherà sul campo dell’Olbia il punto che ancora le serve per mettere la pietra tombale sopra alla stagione in corso e apporre sulla lapide la parola fine. È soltanto una salvezza a fine campionato o sarà la fine del campionato la nostra salvezza?
All’improvviso, le prime lacrime di una pioggia fredda e liberatoria cominciano a bagnare il marciapiede. Al contatto con l’asfalto, le gocce disegnano piccoli puntini scuri, prima di unirsi ad altre gocce identiche in un reticolo casuale a formare una macchia sempre più grande ed uniforme. Piove. Ma forse è soltanto un falso allarme. Come le vittorie con il Livorno. Il campionato non è ancora concluso che già comincia la ‘malinconia delle cose finite’, anche se di questi nove mesi avremo ben poco da ricordare. Perché forse siamo soltanto un anno più vecchi. A margine di una delle stagioni più brutte degli ultimi vent’anni, stringendo il pugno della mano destra non rimarrà nient’ altro che sabbia, mischiata al sapore agrodolce dei due derby vinti. Prima, nel mezzo e dopo di essi, invece, resterà soltanto un nulla opprimente e limaccioso, che anche il tempo stenterà a portarsi via. Troppo poche due vittorie per riallineare i piatti di una bilancia emozionale tristemente squilibrata verso la noia, l’apatia, l’indifferenza. Troppo poche due vittorie per tenere la gente incollata ai seggiolini del Rastrello, vuoto e silenzioso come una domenica di luglio. Troppo poche quelle due vittorie. Punto!
Adesso non piove più e un timido raggio di sole buca le nuvole, disegnando pallide ombre sul terrazzo del bar. Fuori tira un vento di scirocco, il cielo è grigio opprimente e aprile sta finendo. Mossi dalle correnti, mucchietti di erba recentemente tagliata mulinellano svogliati fra le ruote delle automobili ferme nel parcheggio, mentre una coppia di gatti passeggia lungo la banchina della strada, in cerca di un posto tranquillo e di un secondo di intimità. Tra rimonte sospette, diti medi sospetti ed interviste sospette anche questa settimana – compressa tra due ponti – sta scivolando via. Tra un po’ tutto sarà finito e penseremo ad altro. Alle vacanze, alla spiaggia, al traghetto. Traghetto che quotidianamente collega Livorno ad Olbia, in un viaggio simbolico che unisce il punto più alto della nostra stagione con l’anonimo epilogo finale. Olbia è la prima cosa che il turista vede arrivando in Sardegna o l’ultima che saluta, quando riparte. Esattamente come Livorno, ma al contrario. Le macchine escono dalla pancia della nave e scappano via veloci. Al loro interno, un esercito di persone normali, tutte impegnate a non perdere nemmeno un prezioso secondo dell’agognata vacanza. Olbia è un punto di passaggio. Il forzato crocevia fra l’ultimo giorno lavorativo e le prime ore di ferie. Un groviglio di albe e tramonti, tutti uguali, fatti di navi che attraccano tra sirene ululanti e strida di gabbiani. Esattamente come Livorno, ma al contrario.
"La gente che passa, ci guarda e prosegue veloce".
Il pilota di porto affacciato al finestrino della pilotina aspetta di affiancarsi al grande traghetto, lasciando che la prua della piccola imbarcazione tocchi la vernice dell'immenso scafo di ferro, che improvvisamente ha oscurato il sole entrando nella rada. Un altro viaggio è concluso, pensa il mozzo mentre aiuta l’ufficiale superiore ad issarsi a bordo. Dagli altoparlanti una voce annoiata ricorda a tutti i passeggeri di aspettare il permesso prima di scendere ai garage. Un bimbo di pochi mesi piange in braccio alla mamma, attirando l’attenzione di un labrador, che dopo aver alzato un orecchio ritorna a sonnecchiare sotto il tavolo. Un breve rollio anticipa l’attracco, la nave beccheggia sulle tranquille acque del porto, si avvicina al molo e arresta la sua corsa. Tirate da mani esperte, dalle viscere del traghetto emergono lunghe corde marroni, che piovono sull’acqua con schianti sordi prima di essere tirate a riva e fissate intorno ai colonnini di metallo dalla testa piatta, la cui vista ricorda la forma del fungo, come se il ferro della punta fosse stato sciolto dalla salsedine e lasciato ripiegarsi su stesso. Improvvisamente, l’imbarcazione smette di oscillare: le funi sono tese e i passeggeri sono al sicuro. La gente comincia a scendere: una coppia, presumibilmente mamma e figlio, non ricorda il numero di garage. Girano per i ponti con l’aria spaesata di chi non sa cosa fare. Il loro mezzo nel frattempo sta ostacolando lo sbarco agli altri automobilisti. La voce che fuoriesce dagli altoparlanti adesso non riesce a nascondere il proprio disappunto, mentre prega i proprietari dell’Autobus Nero con scritto ‘Robur Siena’ di affrettarsi a raggiungere il veicolo ed agevolare lo sbarco. Intorno, una marea di altre persone cominciano a perdere la pazienza. Qualcuno grida, altri ridono sotto i baffi. Una ragazza, incastrata tra due trolley colorati se la prende con il fidanzato, il quale alza gli occhi al cielo, assolutamente inconsapevole di cosa gli accadrà dopo che saranno sposati. Dopo un tempo interminabile, i proprietari del pullman arrivano. Il malcontento serpeggia tra gli altri passeggeri. Dal fondo del garage si alza un brusio sempre più avvertibile. I nervi sono a fior di pelle. "Di questo passo si fa notte", grida un anziano, stanco di aspettare, incontrando immediatamente il consenso di altri viaggiatori. Tuttavia, anziché scusarsi, la signora sbotta violentemente, reagendo alle lamentele con minacce e parolacce. Contrattacca, rilancia, batte il pugno sulla fiancata del pullman ed infine alza la voce. La gente risponde e si accende un parapiglia. Interviene il personale di bordo, si sfiora la rissa. "I soliti italiani", commenta acido un motociclista francese. La coppia sale a bordo e chiude le porte. Il suono del motore copre quello dei pistoni idraulici che sollevano la paratia, lasciando entrare i raggi del sole. L’autobus parte e se ne va, liberando il passaggio agli altri vacanzieri. Finalmente liberi di pensare ad altro. Nella concitazione generale, qualcuno giura di aver visto comparire un dito medio fuori dal finestrino. Altri sono sicuri di averli visti ridere, mentre offendevano la gente inviperita. Altri ancora inveiscono: "Prepotenti arroganti, con tutti i soldacci che avete, comprateci un po’ di educazione". "Io non ne voglio vedere più", sibila per ultimo un tizio, avvolto in una sciarpa bianconera. E, scuotendo la testa, mostra i pugni al cielo.

Olbia – Siena:

la lascio in bianco, come un compito di matematica. Tanto che differenza fa?

Tutti uniti insieme avanzeremo.


Mirko

6 commenti:

  1. Fantastico. Secondo me Mirko dovresti scrivere su un giornale serio, invece che su questo blog da quattro soldi. Che ne so la nazione, il corriere di Siena, insomma giornali culturalmente di altro livello!

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    1. Condivido. Io però prendo il premio valorizzazione

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    2. primo ma l hai sentita "pachidermi e pappagalli" di Gabbani? Secondo me ti piacerà per quello che dice in quella canzone. Comunque secondo me questo blog non è poi così ignorante come si potrebbe pensare in una prima analisi approssimativa.

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    3. Sì, sentita. Vorrei solo far notare la foto di Gabbani per il suo nuovo album... Chi si interessa di simbolismi capirà velocemente.
      Attentissimi alle prime analisi approssimative...

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    4. Secondo me invece in questo blog ci scrivono dei veri mentecatti , dei paria della società . Andrebbe chiuso e fatto riaprire a gente brava , tipo la Durio o ai mitici tifosi che ancora la difendono.

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    5. Il blog si trova attualmente in vendita a 2 milioni di euro. Se la Durio (o altri) vuol favorire...

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